Un bel post di Luca Sofri sulla necessità di raccontare determinate notizie. Una cosa che, da non giornalista, penso da tempo e fa sempre piacere scoprire di non essere gli unici.

Nel documentario su Yara Gambirasio che è su Netflix – discusso nei giorni scorsi un po’ per ragioni promozionali e un po’ per irritazione dei colpevolisti – c’è una cosa che mi sembra esemplare a proposito del lavoro dei giornalisti. Molti dei quali non ci fanno gran bella figura, nel documentario, soprattutto per i modi sgradevoli o proprio stupidi con cui assediano le persone coinvolte: tanto che uno di loro arriva a definire la categoria “un male necessario”.

Mi sono fermato a pensarci, a quel “necessario” (sul “male”, non c’è bisogno di vedere quelle scene per averne contezza quotidiana): e a come spesso il lavoro giornalistico sia giustificato in questo modo per certi suoi comportamenti pessimi, che in altri contesti sarebbero sanzionati ed evitati. Si dice spesso – ed è vero – che per informare le persone c’è bisogno di quei comportamenti, c’è bisogno di essere invadenti, di essere scortesi, di mettere il piede nella porta, di sgomitare, di sembrare persino stupidi, per ottenere informazioni da riferire al pubblico. Ed è vero che molte informazioni si ottengono solo così, e nelle redazioni viene persino apprezzato e premiato chi sia più capace di ottenerle con tanto cinismo e spietatezza. Ma la domanda che mi faccio, a volte, è: è necessario? Non il mezzo, ma il fine. È necessario, ottenere quelle notizie? È necessario darle al pubblico? È necessario che sappiamo ogni cosa? Ovvero, il “diritto di cronaca” è un dovere di cronaca? “La gente deve sapere” proprio qualunque cosa?

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